Pietro Grossi (Firenze, 19 aprile 1978) è uno scrittore italiano della scuola Holden, creata da Alessandro Baricco a Torino.

Esordisce nel 2000 con il suo primo romanzo Touché, e nel 2006 pubblica la raccolta di racconti Pugni, la cui traduzione in inglese è stata vincitrice del Premio Campiello Europa 2010. Nell’autunno 2007 esce il suo secondo romanzo, L’acchito, sempre per la Sellerio Editore.

Suoi racconti sono usciti su Nuovi Argomenti e su antologie di Fandango e Arnoldo Mondadori Editore.

Con il romanzo Incanto (Mondadori, 2011) ha vinto il Premio Nazionale Letterario Pisa 2012 per la Narrativa.


MOTIVAZIONE DELLA GIURIA

Sono stati scritti molti libri sui rapporti più o meno complicati tra genitori e figli ed il protagonista di questo libro si cimenta in una ulteriore variante, scatenata da una semplice telefonata che poi tanto semplice non è.

Un padre esagerato e pieno di genio decide di aggiungere una nuova esperienza alla sua vita di velista, decisamente inusuale visto che vuole andare in Canada a bordo della sua barca Katrina effettuando il leggendario Passaggio a Nord Ovest. Sceglie come compagno di viaggio per una tappa particolarmente impegnativa il figlio Carlo, che lavora a Londra in uno studio di architettura, ha  moglie e due figli e delle navigazioni con suo padre pensava di aver archiviato il ricordo. La telefonata gli giunge da Upernavik, in Groenlandia, la richiesta è talmente eccentrica che Carlo non riesce a dirgli di no e così ad un tratto viene catapultato in acque pericolose, tra i ghiacci, il silenzio e sporadici incontri con gli Inuit che vivono lungo le coste. 

I due si trovano a vivere un’avventura che oltre che di navigazione è soprattutto umana, un corpo a corpo volto anche alla propria salvezza personale, visto che nella solitudine dei ghiacci artici una barca può subire facilmente danni e ripararli con le mani striate come il marmo per il gelo può essere molto difficile. Ma proprio nell’emergenza il rapporto tra padre e figlio ridiventa fortissimo come forse non era in un’infanzia lontana, l’uno deve salvare l’altro oltre che se stesso, e riscoprire di essere reciprocamente essenziali è magistralmente descritto, con raffiche di dialogo scarni, eppure profondi.

In effetti questo libro ha più di una connotazione di eccellenza, perché oltre a raccontare una bella storia, tra paesaggi descritti con una forza tale che sembra di sentire il freddo ed il vento, sembra di vedere il bianco dei ghiacci e le rare case, ordisce anche una tela nuova di sentimenti tra persone che si conoscono benissimo, ma hanno anche nature contrastanti pur essendo padre e figlio. Tra una raffica e l’altra, tra una manovra e una lattina di birra, le loro vite mostrano le loro asperità che poi vengono smussate e anche sorprendenti dialoghi lontani nel tempo acquisiscono un senso che prima non avevano. E uno di quei libri che si legge tutto d’un fiato, senza mai sottrarsi alla tensione che percorre il racconto e che ne è la forza principale.

Elisabetta Strickland