Rotta sull’ inghilterra per un nuovo primato
di CARLO MARINCOVICH
GUARDA che luna, guarda che mare…
Incantati da questo vecchio ritornello, il comandante John Lloyd e il suo equipaggio sono rimasti per tutta la giornata di ieri con gli occhi fissi sul cielo di New York. Poco nuvoloso, molto caldo, molto umido, dicevano i bollettini meteo. A prima vista un tempo perfetto per mettere la prua sull’ Atlantico in direzione dell’ Inghilterra. Ma i computer continuavano a sfornare previsioni non proprio ottimistiche e così la partenza per la grande impresa veniva rinviata di ora in ora.
Se non è cambiato qualcosa all’ ultimo momento, a mezzanotte il comandante Lloyd dovrebbe aver mollato l’ ormeggio per la sua sfida al Nastro Azzurro con l’ avveniristico Hoverspeed Great Britain, un mostruoso traghetto di 74 metri capace di viaggiare a 47 nodi con 84 automobili e 450 passeggeri nella pancia. Il Nastro Azzurro, o Blue Riband o Hales Trophy che dir si voglia, torna così d’ attualità. 56 anni dopo il mitico transatlantico Rex che lo conquistò nell’ agosto del ‘ 34 rendendo famosa nel mondo la nostra marina mercantile. 38 anni dopo l’ ultimo record ufficiale di una nave sulla classica rotta Stati Uniti-Europa: l’ United States impiegò nel ‘ 52 tre giorni, dieci ore e quaranta minuti solcando l’ oceano a 65 chilometri di media, una velocità impressionante allora per qualunque mezzo navale.
Poi i transatlantici andarono in pensione e del Nastro Azzurro non si parlò più. Tutto cadde nel dimenticatoio. Al punto che quando pochi anni fa la sfida fu riesumata con intenti tecnico-sportivi, nessuno sapeva più dove andare a ripescare uno straccio di regolamento che disciplinasse queste traversate record. Cominciò l’ inglese Richard Branson con il Virgin Atlantic Challenger, un motoscafone di quasi trenta metri che pur essendo velocissimo non poteva portarsi dietro tutto il gasolio necessario per 80 ore. Fece rifornimento in mare e poi cominciarono le polemiche.
Il Nastro Azzurro era nato per le grandi navi, dicevano molti, e pertanto la sfida, anche se lanciata da motoscafi, deve svolgersi nelle stesse condizioni delle navi. Quindi senza fare rifornimento e con almeno un passeggero pagante a bordo. Una fisima, quest’ ultima, cui è facile ovviare. Ci prova anche l’ Italia a rinverdire i fasti del Rex. Il torinese Paolo Vitelli costruisce apposta l’ Azimut Atlantic Challenger. L’ Azimut parte, ma viene tradita dai capricci del tempo.
Anche tre anni fa l’ Atlantico doveva essere calmissimo di questi giorni e invece si rivelò un inferno. A metà oceano ha molte ore di ritardo, poi si rompe un motore. Addio Nastro, addio Azzurro. L’ anno scorso lancia la sfida l’ Aga Kahn con il suo Destriero, un motoscafo sportivo di 70 metri con delle potentissime turbine da aviogetto. Passa un anno e pochi mesi fa il progetto viene ripresentato una seconda volta. Sono cambiati i motori, i tempi di costruzione si allungano, l’ impresa si svolgerà nel ‘ 92. Ed ecco invece zitti zitti, spuntare fuori australiani e inglesi con questo Hoverspeed. A differenza dei tentativi sportivi degli ultimi anni, l’ Hoverspeed è una vera nave mercantile, un traghetto superveloce che sta per entrare in servizio di linea fra Portsmouth e Calais nella Manica e fra l’ Australia e la Tasmania.
Il collegamento Francia-Inghilterra che oggi richiede 7 ore con i grandi Hovercraft a cuscino d’ aria, con l’ Hoverspeed si ridurrà a poco più di due ore.
L’ Hoverspeed è un traghetto in alluminio costruito da un cantiere australiano per la società Sea Containers. Provato in mare nell’ aprile scorso, ha raggiunto una velocità massima di 47 nodi e una velocità di crociera di 37. Se tutto andrà secondo le previsioni, sabato l’ Hoverspeed dovrebbe arrivare al traguardo di Bishop Rock in Cornovaglia con quattro o cinque ore di anticipo sul record dell’ United States. Come fa questo traghetto a correre tanto? Se la motorizzazione è di tipo tradizionale, quattro diesel da 3240 cavalli ognuno, non lo sono la carena e il sistema propulsivo.
La carena è sostanzialmente un trimarano dove il grande corpo centrale resta sollevato sull’ acqua mentre i due sottili scafi laterali solcano le onde incontrando una resistenza inferiore a quella di uno scafo normale. Una carena non nuova in senso assoluto ma utilizzata adesso con grandi vantaggi su navi di queste dimensioni. Più interessante invece è il sistema propulsivo che rappresenta una primizia mondiale dell’ industria e della tecnologia italiane. L’ Hoverspeed infatti non ha eliche e non ha timoni. Al loro posto ci sono quattro idrogetti Riva Calzoni che forniscono la spinta propulsiva e svolgono anche funzioni di timone essendo orientabili.
Gli idrogetti sono sostanzialmente delle pompe. Assorbono l’ acqua da alcune fenditure nello scafo, la accelerano e la espellono di poppa. Tutti e quattro hanno una portata di 45 metri cubi d’ acqua al secondo e danno una spinta di 70 tonnellate, all’ incirca la stessa spinta che danno i quattro reattori di un jumbo in fase di decollo.
Repubblica — 20 giugno 1990 pagina 29 sezione: SPORT
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