ANNAMARIA “LILLA” MARIOTTI” è nata a Camogli, dove vive e lavora. Collabora con le riviste americane Lighthouse Digest e The Keeper’s Log, per le quali scrive articoli sui fari italiani. Ha pubblicato Fari (White Star), Cacciatrici di Balene (Frilli) e numerosi libri legati al mare.
Nel 2006 ha ricevuto dalla Guardia Costiera il premio “Navigare informati”. Nel 2012 ha vinto il premio “La Cultura del Mare” di San Felice Circeo per il libro Blackbeard, la vita e le avventure del famigerato pirata Barbanera (Magenes). Nel 2013 ha vinto il prestigioso premio “Marincovich” per il libro Tristan da Cunha, Storie e vicissitudini dello più remota comunità umana (Magenes). È socio onorario dell’US Lighthouse Society e membro associato dello Società Capitani e Macchinisti Navali di Camogli. Attualmente è Presidente dell’Associazione Culturale Il Mondo dei fari.
MOTIVAZIONE DELLA GIURIA
Sebbene il titolo induca a pensare che questo libro racconti semplicemente la storia di un naufragio, in realtà in esso c’è molto di più. Intanto la meticolosa ricerca effettuata dall’autrice sulle vicende della baleniera Essex partita dall’isola di Nantucket a inizio Ottocento e tragicamente affondata, costringendo i pochi superstiti a vagabondare per l’oceano con poche provviste, arrivando al cannibalismo pur di sopravvivere ed alcuni di essi in effetti si salvano. Le vicende raccontate hanno richiesto visite ad archivi, interviste e in mancanza di dati certi anche proposte di analisi suggestive su alcuni lati misteriosi della tragica avventura.
Indubbiamente fare di professione il cacciatore di balene non è stato facile per i tanti capitani coraggiosi che hanno solcato gli oceani per procurare una fonte di energia, l’olio di balena, che è stata di primaria importanza prima che si ricorresse al kerosene e all’elettricità, quindi questo fatto da solo basterebbe a rendere interessante un libro che la racconti.
Ma nella specifica vicenda dell’Essex c’è un po’ di tutto e soprattutto la colossale sfortuna di incappare, dopo aver faticosamente doppiato Capo Horn, in un enorme capodoglio molto agguerrito contro cui neanche l’esperienza di marinai avvezzi a tutto è riuscita a fare il miracolo. Sembra di esserci a bordo della baleniera, si sentono gli odori, si immaginano le facce del capitano George Pollard e dei suoi sottoposti, si percepisce l’enorme stupore dell’equipaggio davanti ad un fatto molto più grande di loro.
L’unico resoconto conosciuto di questa storia, scritto da chi l’ha vissuta in prima persona, il primo ufficiale Owen Chase, e raccolto in uno dei testi consultati dalla Mariotti con lo spirito di una ricercatrice provetta, è apparso tanto suggestivo che non c’è da meravigliarsi nell’apprendere che Herman Melville abbia attinto ad esso a piene mani per il suo Moby Dick; del resto non si può fargliene una colpa, la storia era molto bella e lui aveva una gran penna e queste due cose insieme hanno prodotto un capolavoro.
A volte la letteratura, quando è di buona qualità, riesce veramente ad immortalare una storia leggendaria e i suoi retroscena; proprio questo è ciò che contraddistingue l’autrice, il suo incaponirsi sui dettagli ed i personaggi, la sua indagine sulla psiche umana in condizioni estreme oltre che sul fatto vero e proprio. A volte di un film si dice che “tiene inchiodato alla sedia”… bene, questo libro fa proprio questo, tiene inchiodati alla sedia.
Elisabetta Strickland