MOTIVAZIONE

L’autore analizza storicamente il mondo della pesca del merluzzo nelle diverse zone del Nord.

L’articolo inizia dal 1431, quando una cocca veneziana partita da Candia (Creta) per le Fiandre fa naufragio e finisce su una delle Lofoten. Tra i sopravvissuti c’è Pietro Querini, erede di una nobile famiglia veneziana che – al ritorno – racconta in una dettagliata relazione la vita sulle isole, la pesca e la lavorazione del merluzzo. Che in parte viene seccato facendone stoccafisso e in parte salato e trasformato in baccalà. La lavorazione in diverse fasi per la trasformazione dei grandi pesci in stocco continua da febbraio a maggio quando soffia un vento ideale, freddo e asciutto. Figura mitica è il vraker, che con un colpo d’occhio seleziona i merluzzi dividendoli in dieci categorie, dopo averne valutate grandezza e qualità. Già nel ‘500 la pesca al merluzzo attira le flotte europee verso i Grandi Banchi (Terranova). Ai tempi e per secoli la pesca è naturalmente regolata dagli uomini per conservare un ecosistema, che poi si rivelerà fragile.

Panella racconta lo sviluppo della pesca e della sua industria in Islanda, che riusce a regolamentare le zone di pesca esclusiva, riservate agli islandesi, contro l’invadenza dei pescherecci britannici. Un caso da manuale di disastro ecologico è invece quello dei Banchi di Terranova, dove a inizio Novecento si pesca usando schooner e piccoli dory, su cui 1 o 2 uomini pescano a mano col bolentino. Quando arrivano le navi a motore, le reti a strascico portano a uno sfruttamento eccessivo tanto che nel 1992 ci si rende conto che la popolazione dei merluzzi è diminuita del 98,9%. La pesca viene allora vietata con la perdita di 45.000 posti di lavoro. Lo sviluppo della pesca del merluzzo ha molto contribuito all’evoluzione e alla storia della navigazione a vela. Si va da barche per pescare lunghe una dozzina di metri, non pontate e simili a quelle dei Vichinghi, allo jackt, utilizzato per trasportare il pescato dalle Lofoten alla Norvegia. Ed è proprio con una di queste imbarcazioni che Amundsen è impegnato dal 1903 nel passaggio a Nord-Ovest. A fine ‘800, per proteggere le flottiglie dei pescherecci, nasce una speciale imbarcazione, il Colin Archer, ketch di 27 ton con poppa a canoa, dal nome del’architetto navale autodidatta che aveva vinto il concorso per la progettazione di un’imbarcazione veloce ma capace di resistere alle violente tempeste del Nord Atlantico. Ed è proprio la necessità di portare il pescato fino ai mercati del New England, che porta allo sviluppo dello schooner, un veliero con notevoli doti di velocità e capace di risalire il vento.

L’epica vicenda della pesca tradizionale al merluzzo si conclude attorno alla metà del ‘900 ma sopravvive in alcuni dei velieri storici, tra cui il nostro “Palinuro”.

Ida Castiglioni


BIOGRAFIA AUTORE

Giovanni Panella. Genovese. Ha sempre amato il mare e le sue storie. Laureato in Scienze Politiche con una tesi sulla stampa navale, si è occupato delle commesse internazionali di Ansaldo Componenti. A partire dal 1992 i suoi interessi si sono rivolti alle tematiche del marketing culturale e alla formazione di diplomati e laureati.

Giornalista dal 2001, si è specializzato nel campo della storia e dell’etnografia marittima. È vicepresidente dell’ISTIAEN (Istituto Italiano di Archeologia e Etnologia Navale) presidente del Comitato Scientifico della FIBaS (Federazione Italiana Barche Storiche) e consulente della Soprintendenza della Liguria per il patrimonio marittimo. Collabora a riviste italiane e straniere ed è autore di una collana di pubblicazioni dedicate alle imbarcazioni tradizionali. Si è impegnato nel restauro d’imbarcazioni tradizionali e nella realizzazione di “Creauza de mä”, copia di una lancia da ammiraglio del 1797, utilizzata per un programma di formazione internazionale, rivolto ai giovani.