L’Atlantico con un solo pieno alla conquista del mitico record
di CARLO MARINCOVICH
ROMA
Ingegnere, stiamo per rimanere senza olio, saremo costretti a fermarci. Una notizia poco allegra per chi si trova in barca in mezzo all’ Oceano Atlantico. Non è possibile comandante, ci deve essere ancora olio, ora controlliamo. Sull’ Azimut Atlantic Challenger, il potente motoscafo italiano che vuole battere il record della traversata atlantica, e che stamattina arriva a New York dopo un avventuroso viaggio di trsferimento, c’ era stato un attimo di panico nella notte tra giovedì e venerdì.
Sul pannello degli strumenti, più grande di quello di un Jumbo, la lancetta continuava a scendere. La voce del comandante Aldo Benedetti, che da lunedì scorso non dormiva, era apparsa giù di tono agli ingegneri riuniti nella sala operativa di Genova collegata per radio con il motoscafo.Per fortuna era solo un abbaglio notturno dovuto alla stanchezza. Le onde stavano diventando grandi. L’ Azimut rasentava una grossa depressione. Per evitarla continuava a puntare la prua sempre più a sud col risultato di allungare il viaggio di parecchie centinaia di miglia. Ancora tre giorni e poi ecco le mille luci di New York. Ma a bordo dell’ Azimut, un’ altra brutta sorpresa è capitata venerdì scorso.
L’ impianto di acqua dolce dei motori perde. Due motoristi scendono in sala macchina e con un secchio cominciano a raccogliere goccia dopo goccia, poi con una pompa svuotano il secchio dentro il serbatoio e il ciclo ricomincia con un altro secchio. Come i forzati di una volta, restano 48 ore in quell’ inferno dove i 7 mila cavalli dei quattro motori spaccano i timpani e mandano più calore di una caldaia. Ne sono usciti stanotte quando, superate le isole Bermuda, la costa americana è apparsa all’ orizzonte.
A conti fatti l’ Azimut ha percorso 3800 miglia al posto delle 3000 della rotta più diretta. Un viaggio pieno di imprevisti, ma veloce quasi quanto quello del magnifico transatlantico Rex che 55 anni fa conquistò il Nastro Azzurro con la sua galoppata selvaggia da Gibilterra a New York. Ecco, il mitico Nastro Azzurro, il famoso Blue Riband per il quale progettisti, comandanti, armatori e capi di stato per decenni sono andati in sollucchero o in lacrime. La nave che poteva dipingere sui fumaioli questa striscia azzurra, presa a prestito dall’ Ordine della Giarrettiera, diventava il vanto di un reame o di un regime.
Così fu per il Rex, così per il francese Normandie, per il tedesco Kaiser e per il Queen Mary, l’ orgoglio della marineria inglese. Il primo piroscafo a stabilire un record dall’ Inghilterra a New York fu il Great Britain nel 1838 : viaggiò a dieci nodi di media, impiegando solo 12 giorni e sollazzando i passeggeri con il vino a volontà compreso nel biglietto. In quei tempi di grande emigrazione chi viaggiava più veloce conquistava più passeggeri. Il Blue Riband non esisteva ancora.
E quando sia nato nessuno lo sa con esattezza. L’ uso di dipingere quella striscia prese piede sul finire del secolo, ma non c’ erano giurie, regolamenti, controlli e trofei. L’ ufficialità del record risale invece al 1933 quando il deputato inglese Harold Keates Hales istituì un trofeo a suo nome per la traversata più veloce. Una base di onice su cui Victoria, Anfitrite e Nettuno sorreggevano il mondo in argento . Questa bella storia di navi gigantesche, con saloni, orchestrine, abiti di gala e champagne finì nel 1952 quando le 54 mila tonnellate (una portaerei) dell’ United States, spinte da 24O mila cavalli, traversarono l’ oceano in tre giorni, 10 ore e 42 minuti. Nessuna nave è mai riuscita a fare di meglio.
L’ Andrea Doria affondò, i transatlantici vennero aboliti. Il Nastro Azzurro cadde nel dimenticatoio. Peggio: il trofeo stesso stava per essere fuso ma un giornalista americano lo salvò per tramandarlo ai posteri. Nessuno avrebbe potuto battere quel record, 66 chilometri l’ ora per 82 ore di seguito. Era finita un’ altra epopea del mare. Due anni fa l’ inglese Richard Branson decide di tentare il record con un motoscafo, il Virgin Atlantic Challenger, 2O metri e qualche migliaio di cavalli in corpo. Ma il gasolio a bordo non basta e il Virgin deve fare tre rifornimenti in pieno oceano.
Gli americani si rifiutano di dare a Branson l’ Hales Trophy che, dicono, è riservato alle navi capaci di compiere con i propri mezzi l’ intero viaggio e avendo a bordo passeggeri paganti. Pazienza. Branson ne ricava comunque grande pubblicità ma soprattutto viene rilanciato il gusto di una sfida che sembrava destinata solo al piacere degli storici. Così Paolo Vitelli, un industriale torinese specialista nella costruzione di grandi e prestigiosi motoryachts mette mano all’ Azimut. Una sfida tutta italiana, altrimenti che senso avrebbe per le nostre tecnologie? 27 metri di lunghezza, motori Crm, idrogetti Riva Calzoni, un sacco di aziende e sponsor capaci di esprimere ancora un made in Italy competitivo.
Ma la grande sfida che Vitelli vuole vincere è quella dell’ autonomia. L’ Azimut infatti non si fermerà mai, porterà nella sua pancia 80 tonnellate di gasolio con problemi tecnici non indifferenti per mantenere una velocità superiore a quella dell’ United States. Per fare contenti gli americani ancora così gelosi di quel trofeo, Vitelli metterà a bordo anche un passeggero pagante, il signor Whintrop Rockfeller. Dunque la nave partirà, come diceva la canzone, ma quando non si sa. Il via lo daranno i meteorologi inglesi del centro di Bracknell che con i loro computer stanno analizzando i dati in attesa che sull’ Atlantico si apra la finestra : cioè un’ alta pressione con poco vento e mare calmo per favorire il record. Se ne presenta una sola l’ anno, e questo è il periodo buono dicono gli inglesi.
Allora sarà Cesare Fiorio, il grande capo dello sport automobilistico del gruppo Fiat, a sedersi al posto di comando e per 82 ore non staccherà gli occhi dalla bussola. Ma all’ orizzonte si profila già una bella polemica. Pronto a partire sulle banchine di Manhattan c’ è anche il campione del mondo di motonautica offshore Tom Gentry, un ricco palazzinaro hawayano che vuole approfittare anche lui della finestra col suo 33 metri Eagle. Solo che Gentry farà rifornimento in mare. Chi la spunterà?
Repubblica — 17 luglio 1988 pagina 19 sezione: CRONACA
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